Storie sul comune di L'AQUILA

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Archidiskodon Meridionalis Vestinus [ torna all'indice ] [ chiudi questa sezione ]

L'Aquila - MammutL‘Archidiskodon Meridionalis Vestinus dell‘Aquila proviene dalla località denominata Madonna della Strada, nel comune di Scoppito, a 14 km dal capoluogo. Il ritrovamento del fossile avvenne nel 1954 durante lo sbancamento di una collinetta argillosa eseguito per l‘estrazione del materiale necessario ad una fornace di laterizi. Lo scheletro risulta quasi completo, in perfetto stato di fossilizzazione; mancano solo la parte posteriore del cranio e frammenti del piede, oltre alla zanna sinistra, mai ritrovata. Il peso dell‘animale, da vivo, doveva superare le 16 tonnellate; la zanna destra, l‘unica rinvenuta e tuttora conservata, pesa ben 150 kg ed è esposta insieme ad una copia in vetroresina molto più leggera. L‘altezza dell‘animale è di circa 3,90 metri al garrese e 4,55 metri al vertice del cranio; la lunghezza, dalla punta della zanna superstite all‘estremità della coda è di circa 6,50 metri. Probabilmente l‘animale morì per cause naturali nei pressi di un bacino lacustre esistente nella conca aquilana. Proprio lo strato sedimentario del terreno su cui giaceva l‘esemplare ha fornito certezze sulla cronologia: all‘interno della terra che ricopriva l‘animale furono rinvenute alcune farine fossili, derivate dall‘accumulo di microscopici resti di diatomee, che hanno permesso di datare l‘animale a circa 1.000.000 di anni fa. Dello scavo e del restauro del reperto fu incaricato l‘Istituto di Geologia e Paleontologia dell‘Università di Roma, che vi provvide sotto la direzione della prof.ssa Angiola Maria Maccagno. Le operazioni di recupero iniziarono il 26 marzo 1954 e si conclusero il 15 maggio. Lo studio ed il restauro delle singole ossa richiesero due anni di lavoro. Spesso l‘esemplare aquilano viene confuso erroneamente con altre specie di elefanti fossili, come l‘Elephas Antiquus, più alto e con le zanne rivolte verso il basso, vissuto in epoca più recente, dopo la fine del Villafranchiano, oppure il Mammuthus Primigenius, dal corpo peloso e dalle zanne ricurve, entrambi vissuti durante l‘ultima glaciazione ed estintisi circa 10.000 anni fa. Nel 1958 la sezione paleontologica dedicata al fossile fu allestita nel bastione orientale del Castello dell‘Aquila e l'esemplare fu esposto al pubblico.

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dalla fondazione [ torna all'indice ] [ chiudi questa sezione ]

Fondata per progetto dell'Imperatore Federico II di Svevia intorno al 1230 col nome di Aquila, divenne Aquila degli Abruzzi nel 1861 e L'Aquila nel 1939.

L’Aquila è città particolare, unica nel Medioevo italiano, nata non per una casualità ma per progetto secondo un disegno armonico che non trova precedenti nella storia dell'architettura urbana (un caso simile, nel 1703, fu la nascita di San Pietroburgo). Fu costituita dall'unione di molti villaggi della zona (99, secondo la tradizione locale), ognuno dei quali costituì un quartiere che rimase legato al villaggio-madre e fu considerato parte dello stesso per circa un secolo. Nella nuova città demaniale i cittadini dei castelli inurbati dentro le mura (intus moenia) e quelli rimasti nei castra d'origine (extra) mantengono gli stessi diritti civici e nell’uso delle proprietà collettive, come pascoli e boschi.

Il primo consiglio cittadino fu composto dai sindaci dei vari villaggi e la città non ebbe una propria esistenza giuridica riconosciuta fino al regno di Carlo II di Napoli, che nominò un Camerlengo quale responsabile dei tributi, che, da allora in poi, furono pagati da tutta la città in quanto tale, mentre, in precedenza, erano pagati dai singoli villaggi, ognuno dei quali comprendeva il quartiere realizzato in città.
Successivamente, il Camerlengo acquisì anche il potere politico, divenendo presidente del consiglio cittadino (che ebbe vari nomi e composizione nel corso dei secoli). La città, autonoma, anche se sotto la sovranità del regno di Sicilia prima e del regno di Napoli poi, salvo un breve periodo in cui fece parte dello Stato Pontificio, fu governata da una diarchia composta dal consiglio e dal capitano regio, cui si aggiunse, nel XIV secolo, il conte Pietro Camponeschi, detto Lalle che, da privato cittadino, divenne il terzo lato di una nuova triarchia.
Già in precedenza, la città era divenuta una quasi signoria sotto Niccolò dell'Isola, nominato Cavaliere del Popolo, ma poi massacrato dal popolo stesso quando il suo potere cominciava a diventare troppo grande. Anche Camponeschi, Gran Cancelliere del regno di Napoli, oltre che conte feudale di Montorio al Vomano e quasi "signore" dell'Aquila, finì ucciso, ma, questa volta, per ordine del principe Luigi di Taranto. Il terzo ed ultimo "signore" della città fu Ludovico Franchi, che sfidò anche i papi ospitando Alfonso I d'Este, cacciato da Ferrara, e i figli di Giampaolo Baglioni, l'ultimo signore di Perugia. Tuttavia, quando il suo potere cominciò a diventare troppo grande, gli Aquilani, sempre gelosi della loro libertà, si lamentarono presso il re di Napoli, che lo fece deporre ed imprigionare.

La città, che era la seconda de regno per potenza e ricchezza, iniziò a decadere nel XVI secolo, quando il viceré spagnolo Filiberto d'Orange, dopo averla devastata, la separò dal suo contado, introducendovi il feudalesimo spagnolo e privandola della sua autonomia.

 

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Il castello [ torna all'indice ] [ chiudi questa sezione ]

L'Aquila - ingresso castello spagnoloL'instaurazione generalizzata del nuovo ordine ispano-imperiale, dopo la disfatta definitiva dell'armata francese del Lautrec e le trattative di pace tra Carlo V e Clemente VII, se fu fatale alle aspirazioni repubblicane dei fiorentini, in difesa delle quali Michelangelo prodigò inutilmente il suo genio di architetto militare, segnò anche il definitivo tramonto dell'antica autonomia dell'Aquila, città fino ad allora tra le più fiorenti del Regno di Napoli. Nel febbraio del 1529, mentre Michelangelo, chiamato a far parte dei "Nove della Milizia" intraprendeva a Firenze il lavoro di ammodernamento e rafforzamento delle mura, la città degli Abruzzi era occupata militarmente dai "lanzi" di Filiberto d'Orange, viceré e luogotenente generale del Regno di Napoli, venuto personalmente a castigarla per aver aperto, qualche mese prima, le porte ai francesi ed essersi in seguito ribellata alla guarnigione imperiale che la presidiava. La durissima repressione non aveva risparmiato i tesori delle chiese, fusi per il pagamento dell'esoso "taglione" imposto in riscatto del minacciato saccheggio, né gli antichi privilegi ed immunità del comune, il cui vasto contado era stato separato dalla città ed infeudato a capitani dell'esercito imperiale. La massiccia "castellina" bastionata fatta costruire dall'Orange nel punto più elevato della cinta muraria, "per tener con grosso presidio a freno i cittadini"1 era il simbolo tangibile ed opprimente della nuova condizione "di servitù", che relegava ormai la città ad un ruolo economicamente dimesso e politicamente marginale.
A tali durissime imposizioni si era dovuto sottostare senza alcuna possibilità di replica o resistenza, nel clima opprimente dell'occupazione militare, caratterizzato dalle continue minacce di saccheggio, dalle intimidazioni terroristiche a danno degli ostaggi, dagli squartamenti e dalle impiccagioni in piazza dei "sediziosi". Quando, nell'agosto del 1530, il principe "odioso al nome degl'Aquilani"2 morì mentre assediava Firenze, colpito da un'archibugiata a Gavinana, si sparse la diceria che a tirare il colpo mortale fosse stato un fante aquilano che militava nelle truppe del Ferrucci.
Portato a compimento in pochi mesi - nel giugno del 1530 ospitava già un castellano ed una guarnigione - il fortilizio dell'Orange fu completamente distrutto pochi anni dopo, quando fu costruito al suo posto il formidabile Castello che si è conservato fino ad oggi.
Il Castello Spagnolo dell'Aquila è una delle realizzazioni più grandiose e meglio conservate dell'architettura militare moderna sul suolo italiano. Le vicende costruttive e gli stessi caratteri architettonici dell'immane fortezza costituiscono un'esemplare testimonianza storica degli anni turbolenti delle horribili guerre d'Italia, un'epoca di profonde e drammatiche trasformazioni, nell'assetto politico della penisola come nell'arte della guerra e delle fortificazioni: mentre una parte consistente del territorio italiano cadeva sotto il diretto dominio della Spagna, gli equilibri politici e sociali interni ai vari stati mutavano profondamente e si riducevano drasticamente i tradizionali spazi di autonomia delle città; mutamenti altrettanto significativi si verificavano nel campo della tecnologia bellica, col largo ed efficace impiego delle artiglierie da fuoco a palla metallica, per fronteggiare le quali l'architettura militare era costretta al superamento definitivo della secolare tipologia medievale delle fortificazioni.
Il Castello costituiva uno dei principali capisaldi del grandioso piano di rafforzamento del Regno di Napoli intrapreso dal Viceré don Pedro de Toledo nel 1532. L'enorme spesa della costruzione fu pretestuosamente addebitata alla città, in espiazione della rivolta divampata il 31 dicembre 1528 e soffocata nel febbraio successivo dalle truppe di Filiberto d'Orange. Nel 1534 il Toledo conferì l'incarico dellaL'Aquila - giardino del castello spagnolo progettazione e della direzione dei lavori a Pirro Luis Escrivà, un capitano dell'esercito imperiale che, pur non avendo ancora avuto modo di realizzare alcuna opera veramente importante, aveva già fama di "grande architetto, et molto perito nelle fortificazioni"3. Nato da una famiglia nobile di Valencia attorno al 1490, istruito fin dall'infanzia sia nell'arte militare che nelle lettere, l'Escrivà era entrato giovanissimo nell'ordine cavalleresco di San Giovanni di Gerusalemme, che sosteneva la lotta contro l'espansionismo ottomano e annoverava "i più esperti costruttori di castelli della regione mediterranea"4. Nelle pagine dell'Apologia, un trattato in forma dialogica scritto nel 1538 per rispondere alle critiche di alcuni detrattori, riferendosi all'arte di costruire e difendere fortezze, l'Escrivà afferma: "cierto no ha menos de trenta anos que ando por el mundo errando tras esta facultad, si bien hà pocos que la uso"5. Nel suo lungo apprendistato di architetto militare ebbero certamente un'importanza particolare gli insegnamenti e gli esempi di Gabriele Tadino da Martinengo, suo confratello nell'ordine gerosolimitano, cui era dedicato l'Edificio militar, un trattato di architettura militare rimasto inedito ed oggi perduto, e quelli del duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere, a cui l'Escrivà dedica un'altra sua opera, il Veneris Tribunal, pubblicato a Venezia nel 1537. La sua esperienza di guerra, cominciata in Spagna durante la rivolta dei comuneros, si era arricchita nel corso del recente conflitto tra Carlo V e la Lega di Cognac: dall'Apologia si apprende, infatti, che nel 1528 egli aveva partecipato alla difesa di Napoli dall'assedio del Lautrec. L'incarico avuto dal viceré Toledo gli offriva l'opportunità irripetibile di mettere in pratica le sue conoscenze letterarie, filosofiche e geometrico-matematiche non meno delle acquisizioni del suo lungo tirocinio di soldato e costruttore di castelli. Il lavoro di progettazione poteva svolgersi infatti in completa autonomia, senza il condizionamento di costruzioni preesistenti, da inglobare e riutilizzare nella nuova fortezza, né le caratteristiche del terreno erano tali da imporgli soluzioni obbligate.
L'Aquila - esterno e fossato castello spagnoloLa lunga evoluzione dal castello medioevale alla fortezza moderna era stata opera di architetti di fama, come Baccio Pontelli, Francesco di Giorgio Martini, i Sangallo, artefici al contempo di un eccezionale progresso tecnico e di una trasformazione dei canoni estetici senza precedenti. Inserendosi coscientemente nel solco di questa tradizione tutta italiana, l'Escrivà, spagnolo di nascita e soldato di professione, ma partecipe del clima culturale del Rinascimento, autentico "caballero humanista"6 , volle improntare la sua formidabile macchina da guerra a criteri di simmetria e di regolarità di proporzioni basati su leggi matematiche. All'epoca in cui fu edificato, il Castello spagnolo dell'Aquila costituiva il risultato più avanzato della nuova architettura militare. In esso, grazie ai sacrifici della città, che fu costretta ad accollarsi buona parte delle spese di costruzione, la moderna scienza delle fortificazioni e le concezioni estetiche del progettista furono realizzate nel modo più compiuto, con rara coerenza e razionalità. Le soluzioni tecniche adottate dall'Escrivà sono frutto della consapevole prefigurazione del potenziale bellico di un eventuale esercito invasore e di un'attenta valutazione di tutte le possibilità offerte dalla poliorcetica moderna: ad ogni minaccia di offesa tentò di contrapporre un efficace dispositivo di difesa. L'Escrivà diresse personalmente i lavori fino al dicembre 1535; tornato quindi a Napoli, ebbe l'opportunità di incontrarvi l'imperatore, venuto a visitare la città dopo la vittoria di Tunisi, e di discutere con lui sul colle di S. Martino, "la forma de la fortification que... en aquel lugar se convenià"7. Ottenuto il prestigioso incarico della ricostruzione del vecchio castello angioino di Sant'Elmo, che dall'alto del colle suddetto dominava la città, rinunciò a dirigere personalmente il cantiere dell'Aquila e tornò nella città solo per un breve periodo, alla fine dell'anno successivo. L'opera fu realizzata per la maggior parte nel corso di un ventennio, anche se soltanto nel 1567 la città veniva esonerata dal pesante tributo impostole per la costruzione. In quell'anno si concludeva la prima fase costruttiva, nel corso della quale era stata realizzata la parte strettamente militare della fortificazione, costituita dai quattro possenti bastioni a pianta pentagonale, dalle quattro robuste cortine, dal fossato e da un vallo terrapienato esterno. Rimase invece limitato alla sola ala di sud-est l'elegante porticato a doppio ordine originariamente previsto lungo tutto il perimetro del cortile interno.

Mauro Congeduti

1B. Cirillo, Annali della Città dell'Aquila con l'historie del suo tempo, Roma 1570, p. 128 r.
2lbidem, p. 129 r.
3Ibidem,. 134 r.
4A. Sànchez-Gijon, Pedro Luis Escriva, caballero Valenciano, constructor de Castillos, Valencia 1995, p. 36.
5P. L. Escrivà, Apologia, LVI.
6A. Sànchez-Gijon, op. cit., p.159.
7P. L. Escrivà, Apologia, XXXIII.

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il plastico del castello [ torna all'indice ] [ chiudi questa sezione ]

L'Aquila - plastico del castello spagnoloIl plastico apparteneva alla collezione realizzata attorno alla metà del XVIII secolo da Giovanni Carafa, duca di Noja, per Carlo di Borbone. Il Carafa (1715 - 1768) è l'autore della celebre Mappa topografica della città di Napoli e de' suoi contorni, pubblicata postuma nel 1775. La raccolta, ubicata originariamente nella reggia di Capodimonte, era costituita, oltre a questo dell'Aquila, da nove altri modelli: quello del Castel S. Elmo di Napoli, quelli dei castelli di Bari, Barletta, Trani, Monopoli, Gaeta, Siracusa, Portolongone e quello, oggi disperso, di Messina. Trasferita prima nell'Officio Topografico, quindi, dal 1872, nel Museo Nazionale di S. Martino, la collezione fu smembrata tra il 1966 ed il 1972, anno in cui il modello del Castello dell'Aquila fu trasferito in deposito presso il Museo Nazionale d'Abruzzo, dove si trova oggi esposto nella Sala del Gonfalone.
Nonostante il non eccellente stato di conservazione - sono andati perduti, tra l'altro, il ponte, il portale d'ingresso, il loggiato retrostante il prospetto di sud-est - esso fornisce preziose informazioni sullo stato della costruzione alla metà del secolo XVIII, prima delle trasformazioni e superfetazioni ottocentesche. Una parte della costruzione presenta L'Aquila - stampa pianta del castello spagnoloancora i caratteristici merloni sangalleschi "a mezzo giro", degradanti verso l'interno a ripiani e tagliati da una fessura orizzontale per il tiro degli archibugi, che furono sostituiti in seguito da merli a scarpa terrapienati. Si apprezza in tutta la sua imponenza la cinta esterna di difesa, accessibile dal fossato attraverso scalette elicoidali e botole di sortita, costruita non molti anni prima della realizzazione del modello.

Bibliografia
- M. Congeduti, Il forte dell'Aquila, Soprintendenza per i B.A.A.A.S. per l'Abruzzo, Collana "Quaderni Didattici", n. 1, L'Aquila 1982, pp. 52-54;
- J. Eberhardt, Das Kastell von L'Aquila - Il Castello di L'Aquila, trad. di G. Mucciante, Amministrazione Provinciale dell'Aquila, L'Aquila 1994, pp. 208-211;
- AA. VV., Guida alla visita dei Musei Statali d'Abruzzo, Soprintendenza per i B.A.A.A.S. dell'Abruzzo, Teramo 2000, p. 39.

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Il presepe trentino della solidarietà [ torna all'indice ] [ chiudi questa sezione ]

INAUGURATO A L‘AQUILA IL PRESEPE TRENTINO DELLA SOLIDARIETÀ

DELLAI: COSTRUIREMO QUI UN AUDITORIUM PER LA MUSICA CON IL LEGNO TRENTINO,  ASSIEME A RENZO PIANO E CLAUDIO ABBADO

(19 dicembre 2009). Inaugurato questa sera a L‘Aquila il presepe che i maestri del legno della Val di Fiemme, in Trentino, hanno scolpito per gli amici d'Abruzzo. In tutto, sono 12 le figure del presepe a grandezza naturale allestito in piazza della Fontana Luminosa. La donazione del 'Presepe della solidarietà‘ conferma l‘amicizia tra il Trentino e l‘Abruzzo, vicini e solidali fin dai primi momenti successivi al terremoto del 6 aprile, a seguito del quale la Provincia autonoma di Trento ha realizzato nei comuni di Coppito, Stiffe, San Demetrio, Sant'Angelo e Onna, 241 casette antisismiche. Altri 134 alloggi sono in via di definizione a San Demetrio Subequana, a San Demetrio Cardamona e San Demetrio Collarino.

L'Aquila - presepe donato dai maestri artigiani di Tesero (Trento)Il presepe, realizzato appositamente per il popolo abruzzese dai maestri artigiani di Tesero, raffigura la Madonna, San Giuseppe, Gesù Bambino, due pastori, due donne, un bambino, l'angelo annunciante e i Re Magi che rimarranno in piazza della Fontana Luminosa fino al 2 febbraio 2010. Nelle valli trentine e soprattutto a Tesero, in Val di Fiemme, l‘arte presepistica è una tradizione tanto antica quanto radicata nella cultura locale, al punto da essere tramandata di generazione in generazione addirittura con lasciti testamentari.

Per il presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai: 'Il trentino ha ancora tanto lavoro da fare qui, oggi abbiamo concluso una nuova iniziativa per L‘Aquila. Abbiamo concordato con Renzo Piano e di Claudio Abbado un bel progetto e costruiremo, proprio in questa piazza un auditorium per la musica con il legno del Trentino, un segnale che non vuole essere la conclusione ma un punto di passaggio rapporti di grande amicizia e collaborazione con le persone e vorremmo tenerli con le persone. Soprattutto con i giovani, che invito a mettersi in contatto con i loro coetanei del Trentino perché dalle tragedie si possano tirare fuori delle opportunità'.

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